Capita sempre più spesso di sentire medici di Medicina Generale e talvolta anche cardiologi esprimere un parere abbastanza netto sulla nota 13: serve solo a far risparmiare soldi al SSN. Sono un medico di base con una formazione di ricercatore avendo lavorato per 5 anni alla ricerca prima di optare per la MG e voglio riassumere in questo lavoro quanto ho trovato pro e contro la rimborsabilità delle statine. Ho evitato di tirare le somme di quanto esposto per sentire il parere di tutti coloro che vorranno partecipare al dibattito.
Ogni contributo per aggiungere altri aspetti è auspicabile.
Capita sempre più spesso di sentire medici di Medicina Generale e talvolta anche cardiologi esprimere un parere abbastanza netto sulla nota 13: serve solo a far risparmiare soldi al SSN. Sono un medico di base con una formazione di ricercatore avendo lavorato per 5 anni alla ricerca prima di optare per la MG e voglio riassumere in questo lavoro quanto ho trovato pro e contro la rimborsabilità delle statine. Ho evitato di tirare le somme di quanto esposto per sentire il parere di tutti coloro che vorranno partecipare al dibattito.
Ogni contributo per aggiungere altri aspetti è auspicabile.
Lo studio dell’IRCCS materno infantile Burlo Garofolo di Trieste mette in evidenza effetti collaterali indotti da farmaci considerati più sicuri dei precedenti.
Lo studio dell’IRCCS materno infantile Burlo Garofolo di Trieste mette in evidenza effetti collaterali indotti da farmaci considerati più sicuri dei precedenti.
L'Università di Torino ha contribuito in maniera determinante.
Per la prima volta un gruppo di ricercatori italiani individua una concreta possibilità di rimediare alla perdita cellulare alla base di malattie neurodegenerative acute (quali l’ictus o il trauma cerebrale) e croniche (quali la sclerosi multipla e il morbo di Alzheimer).
L'Università di Torino ha contribuito in maniera determinante.
Per la prima volta un gruppo di ricercatori italiani individua una concreta possibilità di rimediare alla perdita cellulare alla base di malattie neurodegenerative acute (quali l’ictus o il trauma cerebrale) e croniche (quali la sclerosi multipla e il morbo di Alzheimer).
Scoperto in Italia un importante meccanismo che garantisce le regole di convivenza tra le cellule dei vasi sanguigni, stabilizzando il sistema vascolare. Rilevanti le implicazioni applicative non solo per tumori ma anche per infarto, ictus e patologie infiammatorie: la ricerca pubblicata su Nature Cell Biology.
Testo del documento in formato Word.
Scoperto in Italia un importante meccanismo che garantisce le regole di convivenza tra le cellule dei vasi sanguigni, stabilizzando il sistema vascolare. Rilevanti le implicazioni applicative non solo per tumori ma anche per infarto, ictus e patologie infiammatorie: la ricerca pubblicata su Nature Cell Biology.
Testo del documento in formato Word.
Studiosi della University of Michigan School of Public Health e della University of Michigan Stroke Program hanno studiato l'effetto dell'esposizione a breve termine alle polveri fini (PM 2.5) sull'incidenza sia dell'ictus ischemico che degli attacchi ischemici transitori (TIA).
I risultati hanno mostrato che a livelli relativamente bassi di polveri fini corrisponde un lieve aumento dell'incidenza dell'ictus/TIA. Studi sperimentali hanno già dimostrato che l'esposizione acuta alle polveri PM 2.5 può aumentare il rischio di accidenti cerebrovascolari attraverso uno spasmo arterioso ed un aumento della viscosità del sangue.
Come sottolineano gli autori, i risultati di questa ricerca hanno un'importanza molto rilevante perché la maggior parte delle persone è esposta a bassi livelli di PM 2.5 ed anche più alti. Il pur lieve aumento di incidenza dell'ictus/TIA, infatti, interessando un numero così elevato di soggetti, potrebbe invece avere un enorme impatto sulla salute pubblica. Negli USA l'ictus rappresenta la terza causa di morte.
Sebbene lo studio fosse focalizzato sulle polveri fini, anche l'ozono ha mostrato una correlazione significativa con l'ictus/TIA.
In conclusione, anche questi risultati sottolineano che non esistono livelli di inquinanti che possano essere ritenuti sicuri per la salute delle popolazioni e che i limiti imposti servono esclusivamente a "mitigare il danno".
Even Low Levels of Air Pollution May Pose Stroke Risk. Annals of Neurology, published online May 28, 2008.
Giovanni Ghirga
Coordinamento Nazionale dei Comitati dei Medici per l'Ambiente e la Salute (Lazio)
Studiosi della University of Michigan School of Public Health e della University of Michigan Stroke Program hanno studiato l'effetto dell'esposizione a breve termine alle polveri fini (PM 2.5) sull'incidenza sia dell'ictus ischemico che degli attacchi ischemici transitori (TIA).
I risultati hanno mostrato che a livelli relativamente bassi di polveri fini corrisponde un lieve aumento dell'incidenza dell'ictus/TIA. Studi sperimentali hanno già dimostrato che l'esposizione acuta alle polveri PM 2.5 può aumentare il rischio di accidenti cerebrovascolari attraverso uno spasmo arterioso ed un aumento della viscosità del sangue.
Come sottolineano gli autori, i risultati di questa ricerca hanno un'importanza molto rilevante perché la maggior parte delle persone è esposta a bassi livelli di PM 2.5 ed anche più alti. Il pur lieve aumento di incidenza dell'ictus/TIA, infatti, interessando un numero così elevato di soggetti, potrebbe invece avere un enorme impatto sulla salute pubblica. Negli USA l'ictus rappresenta la terza causa di morte.
Sebbene lo studio fosse focalizzato sulle polveri fini, anche l'ozono ha mostrato una correlazione significativa con l'ictus/TIA.
In conclusione, anche questi risultati sottolineano che non esistono livelli di inquinanti che possano essere ritenuti sicuri per la salute delle popolazioni e che i limiti imposti servono esclusivamente a "mitigare il danno".
Even Low Levels of Air Pollution May Pose Stroke Risk. Annals of Neurology, published online May 28, 2008.
Giovanni Ghirga
Coordinamento Nazionale dei Comitati dei Medici per l'Ambiente e la Salute (Lazio)
Un sofisticato sistema robotizzato che consente un ulteriore passo avanti nel trattamento delle aritmie e in tutte quelle terapie che si basano sull'elettrostimolazione del cuore. Si chiama Stereotaxis, ed utilizza due giganteschi magneti che, spostandosi nella sala operatoria, permettono di guidare all'interno del corpo del paziente un catetere con una punta metallica: il medico ne controlla i movimenti con un joystick da una sofisticata sala controllo.
Operativo da alcuni giorni in Humanitas - dove date le sue dimensioni e l'enorme peso, determinato dai giganteschi magneti, si sono resi necessari l'ampliamento e particolari opere di consolidamento dei pilastri - è uno dei primi macchinari del suo genere ad essere installato non solo in Italia ma in Europa.
Una delle novità assolute è il sistema di ricostruzione tridimensionale dell'area dell'intervento, che consente al medico di orientarsi e spostarsi nel corpo del paziente con una precisione mai raggiunta prima. La Stereotaxis di Humanitas è infatti equipaggiata con un sistema che consente di effettuare immagini radiografiche digitali tridimensionali dell'area in cui sta operando; un angio-CTscan, un particolare sistema TAC che effettua una scansione del torace del paziente direttamente all'inizio della procedura; e, infine, il CARTO MERGE, un navigatore satellitare che fornisce la posizione esatta del catetere rispetto alla 'mappa' tridimensionale del corpo del paziente. "Combinando il momento diagnostico con quello terapeutico - spiega il dott. Maurizio Gasparini, responsabile dell'Unità di Operativa di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione di Humanitas, uno dei maggiori esperti europei nell'impianto di defibrillatori bi ventricolari, elettrofisiologia ed impianti di pace-maker, autore anche di linee guida internazionali - questo sistema consente di curare con la massima precisione ed efficacia le aritmie, e fra queste in particolare una delle più diffuse, la fibrillazione atriale. Grazie alla precisione e alla flessibilità dei movimenti e all'accuratezza del sistema di navigazione non esisteranno più punti del corpo non raggiungibili, e questo ci consentirà di affrontare casi sempre più complessi".
Istituto Clinico Humanitas
Walter Bruno
tel. 02.8224.2415 - 347.9905826
Un sofisticato sistema robotizzato che consente un ulteriore passo avanti nel trattamento delle aritmie e in tutte quelle terapie che si basano sull'elettrostimolazione del cuore. Si chiama Stereotaxis, ed utilizza due giganteschi magneti che, spostandosi nella sala operatoria, permettono di guidare all'interno del corpo del paziente un catetere con una punta metallica: il medico ne controlla i movimenti con un joystick da una sofisticata sala controllo.
Operativo da alcuni giorni in Humanitas - dove date le sue dimensioni e l'enorme peso, determinato dai giganteschi magneti, si sono resi necessari l'ampliamento e particolari opere di consolidamento dei pilastri - è uno dei primi macchinari del suo genere ad essere installato non solo in Italia ma in Europa.
Una delle novità assolute è il sistema di ricostruzione tridimensionale dell'area dell'intervento, che consente al medico di orientarsi e spostarsi nel corpo del paziente con una precisione mai raggiunta prima. La Stereotaxis di Humanitas è infatti equipaggiata con un sistema che consente di effettuare immagini radiografiche digitali tridimensionali dell'area in cui sta operando; un angio-CTscan, un particolare sistema TAC che effettua una scansione del torace del paziente direttamente all'inizio della procedura; e, infine, il CARTO MERGE, un navigatore satellitare che fornisce la posizione esatta del catetere rispetto alla 'mappa' tridimensionale del corpo del paziente. "Combinando il momento diagnostico con quello terapeutico - spiega il dott. Maurizio Gasparini, responsabile dell'Unità di Operativa di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione di Humanitas, uno dei maggiori esperti europei nell'impianto di defibrillatori bi ventricolari, elettrofisiologia ed impianti di pace-maker, autore anche di linee guida internazionali - questo sistema consente di curare con la massima precisione ed efficacia le aritmie, e fra queste in particolare una delle più diffuse, la fibrillazione atriale. Grazie alla precisione e alla flessibilità dei movimenti e all'accuratezza del sistema di navigazione non esisteranno più punti del corpo non raggiungibili, e questo ci consentirà di affrontare casi sempre più complessi".
Istituto Clinico Humanitas
Walter Bruno
tel. 02.8224.2415 - 347.9905826
Lo scompenso cardiaco è ormai considerato una sindrome “epidemica”, in ragione della sua diffusione, della persistente severità della prognosi e degli elevati costi di cura ad esso associati.
La maggior parte dei pazienti affetti da scompenso cardiaco è attualmente rappresentata da anziani, ovvero da soggetti oltre i 65 anni di età, e da vecchi, ovvero da soggetti oltre i 75, fenomeno, questo, in buona parte attribuibile al progressivo evidente incremento dell’età media della popolazione, ma anche ad un intrinseco maggior grado di morbilità cardiovascolare dei soggetti in età avanzata.
Diversi fattori distinguono lo scompenso cardiaco nell’anziano da quello che si manifesta in soggetti di più bassa fascia di età (1,2) (fig.1), ma, in modo particolare, in tema di trattamenti terapeutici, è significativa la poca rappresentazione di questi pazienti negli studi clinici che hanno testato le categorie di farmaci raccomandati nei vari stadi della malattia, e, conseguentemente, il criterio spesso empirico con il quale questi farmaci vengono impiegati nella cura dei soggetti delle fasce di età più avanzate.
Lo scompenso cardiaco è ormai considerato una sindrome “epidemica”, in ragione della sua diffusione, della persistente severità della prognosi e degli elevati costi di cura ad esso associati.
La maggior parte dei pazienti affetti da scompenso cardiaco è attualmente rappresentata da anziani, ovvero da soggetti oltre i 65 anni di età, e da vecchi, ovvero da soggetti oltre i 75, fenomeno, questo, in buona parte attribuibile al progressivo evidente incremento dell’età media della popolazione, ma anche ad un intrinseco maggior grado di morbilità cardiovascolare dei soggetti in età avanzata.
Diversi fattori distinguono lo scompenso cardiaco nell’anziano da quello che si manifesta in soggetti di più bassa fascia di età (1,2) (fig.1), ma, in modo particolare, in tema di trattamenti terapeutici, è significativa la poca rappresentazione di questi pazienti negli studi clinici che hanno testato le categorie di farmaci raccomandati nei vari stadi della malattia, e, conseguentemente, il criterio spesso empirico con il quale questi farmaci vengono impiegati nella cura dei soggetti delle fasce di età più avanzate.
Si è ridotto il rischio per gli italiani di ammalarsi e di morire per le malattie del cuore. Infatti, nel periodo 1980-2007, la quota di "nuovi casi" è passata, ogni 100 mila abitanti, per gli uomini da 293 a 146, e per le donne da 94 a 49,6.
Il rischio di morire è sceso in poco più di un decennio da 60,1 a 42, per 100 mila abitanti, nel complesso della popolazione; per le donne, tuttavia, il tasso di mortalità effettivo per malattie ischemiche del cuore, che tiene conto anche dell'età, indica un aumento consistente delle morti, da 106,9 a 121,5 per 100 mila abitanti.
Aumentano le persone che sono sopravvissute all'insorgere di una patologia cardiaca, e sono, infatti, 2,6 milioni le persone che dichiarano di convivere con una patologia del cuore. Di questi, gli anziani sono oltre il 60%, i residenti al Nord più del 46% e il 53% sono maschi.
Al crescere dell'età aumenta il rischio di ammalarsi, poiché si passa dal 4,5% di affetti da patologie a danno del cuore tra i 55-60enni, al 7,4% tra i 60-64anni, a 10,7% tra i 65-74enni, sino al 17,2% tra i 75 anni e più; e pertanto in una società "anziana" come la nostra l'attenzione a questa tipologia di malattie deve restare vigile.
Si è ridotto il rischio per gli italiani di ammalarsi e di morire per le malattie del cuore. Infatti, nel periodo 1980-2007, la quota di "nuovi casi" è passata, ogni 100 mila abitanti, per gli uomini da 293 a 146, e per le donne da 94 a 49,6.
Il rischio di morire è sceso in poco più di un decennio da 60,1 a 42, per 100 mila abitanti, nel complesso della popolazione; per le donne, tuttavia, il tasso di mortalità effettivo per malattie ischemiche del cuore, che tiene conto anche dell'età, indica un aumento consistente delle morti, da 106,9 a 121,5 per 100 mila abitanti.
Aumentano le persone che sono sopravvissute all'insorgere di una patologia cardiaca, e sono, infatti, 2,6 milioni le persone che dichiarano di convivere con una patologia del cuore. Di questi, gli anziani sono oltre il 60%, i residenti al Nord più del 46% e il 53% sono maschi.
Al crescere dell'età aumenta il rischio di ammalarsi, poiché si passa dal 4,5% di affetti da patologie a danno del cuore tra i 55-60enni, al 7,4% tra i 60-64anni, a 10,7% tra i 65-74enni, sino al 17,2% tra i 75 anni e più; e pertanto in una società "anziana" come la nostra l'attenzione a questa tipologia di malattie deve restare vigile.
L’Insufficienza Venosa Cronica (IVC) è una condizione morbosa che il medico incontra frequentemente nella sua pratica quotidiana.
Nei paesi occidentali si stima che la prevalenza della IVC superi il 40% della popolazione adulta, mentre nei paesi del terzo mondo, quali Africa, Asia e Oceania, l’Insufficienza Venosa Cronica è quasi completamente sconosciuta. Tale prevalenza aumenta con il passare degli anni, raggiungendo l’apice della curva in corrispondenza della sesta, settima decade di vita, e sembra essere da 2 a 3 volte più frequente nel sesso femminile rispetto al sesso maschile.
In Europa si stima che il 25% della popolazione è affetta dalla malattia varicosa, considerata nei suoi vari aspetti dalle teleangiectasie alle varicole, dalle varici tronculari all’ulcera varicosa.
In particolare studi epidemiologici di Widmer in Svizzera (1), di Mimica in Iugoslavia (2), di Wienert in Germania (3), di Jimenez Cossio in Spagna (4), hanno messo in evidenza come circa il 2% della popolazione europea sia affetta da varici tronculari, nelle quali è indicato un qualche trattamento, sia esso medico o chirurgico o sclerosante o compressivo.
L’Insufficienza Venosa Cronica (IVC) è una condizione morbosa che il medico incontra frequentemente nella sua pratica quotidiana.
Nei paesi occidentali si stima che la prevalenza della IVC superi il 40% della popolazione adulta, mentre nei paesi del terzo mondo, quali Africa, Asia e Oceania, l’Insufficienza Venosa Cronica è quasi completamente sconosciuta. Tale prevalenza aumenta con il passare degli anni, raggiungendo l’apice della curva in corrispondenza della sesta, settima decade di vita, e sembra essere da 2 a 3 volte più frequente nel sesso femminile rispetto al sesso maschile.
In Europa si stima che il 25% della popolazione è affetta dalla malattia varicosa, considerata nei suoi vari aspetti dalle teleangiectasie alle varicole, dalle varici tronculari all’ulcera varicosa.
In particolare studi epidemiologici di Widmer in Svizzera (1), di Mimica in Iugoslavia (2), di Wienert in Germania (3), di Jimenez Cossio in Spagna (4), hanno messo in evidenza come circa il 2% della popolazione europea sia affetta da varici tronculari, nelle quali è indicato un qualche trattamento, sia esso medico o chirurgico o sclerosante o compressivo.