Articolo in formato pdf.
Dr Carmelo Sebastiano Ruggeri
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Dr Carmelo Sebastiano Ruggeri
Milano, 21 Novembre 2008 – Mentre Denise, una bella bambina di un anno e mezzo, sorrideva in braccio alla mamma, Lorenzo Pignataro, Direttore U.O. Otorinolaringoiatria, ed i colleghi Fabio Mosca, Direttore U.O. Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, ed Edoardo Calderini, Direttore U.O. Anestesia e Rianimazione pediatrica presso la Fondazione Irccs Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, hanno spiegato perché e come fosse stato possibile salvarle la vita.
Milano, 21 Novembre 2008 – Mentre Denise, una bella bambina di un anno e mezzo, sorrideva in braccio alla mamma, Lorenzo Pignataro, Direttore U.O. Otorinolaringoiatria, ed i colleghi Fabio Mosca, Direttore U.O. Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale, ed Edoardo Calderini, Direttore U.O. Anestesia e Rianimazione pediatrica presso la Fondazione Irccs Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, hanno spiegato perché e come fosse stato possibile salvarle la vita.
Lo studio pubblicato su Science
Ricercatori dell’Istituto Gaslini e del CBA di Genova hanno scoperto una proteina che potrebbe sostituirsi alla nota proteina CFTR, il malfunzionamento di quest’ultima, nei pazienti affetti da fibrosi cistica, causa un’insufficiente umidificazione dei polmoni e la conseguente proliferazione dei batteri.
L’importante scoperta dei ricercatori genovesi frutto della collaborazione tra l’Istituto Gaslini e il Centro di Biotecnologie Avanzate è stata pubblicata da Science.
Lo studio pubblicato su Science
Ricercatori dell’Istituto Gaslini e del CBA di Genova hanno scoperto una proteina che potrebbe sostituirsi alla nota proteina CFTR, il malfunzionamento di quest’ultima, nei pazienti affetti da fibrosi cistica, causa un’insufficiente umidificazione dei polmoni e la conseguente proliferazione dei batteri.
L’importante scoperta dei ricercatori genovesi frutto della collaborazione tra l’Istituto Gaslini e il Centro di Biotecnologie Avanzate è stata pubblicata da Science.
Con il nome di polmonite ab ingestis si indica un’affezione polmonare dovuta all’inalazione di secrezioni infette provenienti dalle cavità nasali e dall’orofaringe.
Gli autori anglosassoni classificano questa forma morbosa con il termine aspiration pneumonia, ben differenziata da altri tipi di polmoniti da aspirazione che conseguono all’inalazione di materiale liquido di varia natura, come acqua dolce o salata, oli minerali, succhi gastrici, etc.; o di materiali solidi, polmoniti che vengono raggruppate sotto il termine di inhalation pneumonia.
La diversa denominazione ed il differente inquadramento nosografico non hanno un valore solamente speculativo ma trovano una ragione ben precisa, non ovviamente nel meccanismo patogenetico che è lo stesso, ma nelle differenze del quadro anatomopatologico e clinico.
Mentre infatti la polmonite ab ingestis è il risultato di un’infezione polmonare dovuta alla penetrazione di germi nelle vie respiratorie a seguito di aspirazione di materiale già infetto, le altre forme di polmoniti da aspirazione sono inizialmente sterili trattandosi di polmoniti chimiche e/o irritative, anche se successivamente possono essere complicate dalla sovrapposizione di un’infezione batterica, evento che si verifica piuttosto frequentemente.
Ciò naturalmente nulla toglie alla possibilità che queste forme concretizzino quadri morbosi di estrema gravità, come nella cosiddetta sindrome di Mondelson dovuta ad aspirazione di succhi gastrici, che verrà illustrata più avanti.
Aspiration Pneumonia o Polmonite ab ingestis propriamente detta
Controlli effettuati su larga scala in soggetti sani per valutazioni inerenti ai meccanismi che regolano il sonno hanno evidenziato che ben il 50% di tutti gli adulti aspira piccole quantità di secrezioni rino ed orofaringee senza che per questo ne consegua obbligatoriamente lo sviluppo di una polmonite batterica.
La scarsità del materiale aspirato, la modesta colonizzazione di batteri virulenti, l’efficacia del riflesso della tosse e del trasporto ciliare e la validità dei meccanismi immunitari sia umorali sia cellulari garantiscono in questi casi che il materiale infetto venga prontamente eliminato senza sequele.
Per contro, difese immunitarie compromesse che già di per sé permettono lo sviluppo di cariche significative di batteri virulenti, inefficacia dei sistemi meccanici di allontanamento ed espulsione del materiale aspirato ed abbondante quantità di quest’ultimo possono concorrere all’insorgenza di polmonite ab ingestis.
Quanto detto spiega perché, rispetto a tutta la popolazione di pazienti a rischio di contrarre una polmonite ab ingestis, la probabilità è particolarmente elevata nei pazienti anziani, specie se di età molto avanzata.
Per quanto attiene al volume dell’aspirato, è stato calcolato che sono necessari almeno 25 ml di secrezioni rino ed orofaringee per determinare infezioni da anaerobi misti nel polmone in una percentuale di casi compresa tra il 60 e il 90%.
Studi epidemiologici hanno dimostrato che circa il 15% delle affezioni polmonari acute dell’anziano sono polmoniti ab ingestis, forma morbosa che rappresenta la causa più comune di morte negli anziani con turbe delle deglutizione dovute a malattie neurologiche.
Inoltre l’incidenza di questa patologia è particolarmente frequente negli anziani ospiti di case di riposo, circa il 18% a fronte del 5% che rappresenta la percentuale di incidenza negli anziani che vivono in famiglia o comunque nella propria abitazione.
Un dato interessante infine è che un’accurata igiene orale riduce sensibilmente la probabilità di contrarre una polmonite ab ingestis rispetto alla popolazione anziana a rischio: il rilievo è stato effettuato tra soggetti edentuli nei quali è molto più facile provvedere ad una valida pulizia del cavo orale e delle protesi.
Fattori di rischio
I fattori che espongono al rischio di aspirazione di secrezioni rino ed orofaringee sono numerosi e quanto mai vari. Alcuni sono comuni a soggetti di tutte le età, altri invece sono specifici dei pazienti anziani, tra questi ultimi ricordiamo:
Un fattore di rischio spesso dimenticato e comunque quasi sempre sottovalutato è rappresentato dall’assunzione cronica e continuata di certi farmaci assai frequentemente prescritti a pazienti anziani:
Tra i fattori di rischio comuni a pazienti di tutte le età, e quindi anche agli anziani, ricordiamo:
Per quanto attiene a quest’ultimo fattore va ricordato che la deglutizione, è in realtà un processo fisiologico complesso che richiede anche una serie di momenti preparatori che precedono l’ingresso del bolo nell’esofago, indispensabili per impedire il rigurgito del materiale nelle cavità nasali e nelle vie respiratorie, ma anche per proteggere la normale pressione dell’orecchio interno.
Nel processo intervengono ben sei nervi cranici e i loro centri coordinati da un centro della deglutizione posto nel bulbo, sul pavimento del quarto ventricolo, non a caso in prossimità del centro della respirazione.
Le cause che possono provocare difetti della deglutizione sono quanto mai varie: infiammatorie, neoplastiche, traumatiche ma anche come postumi di interventi chirurgici o, più raramente, congenite, e riguardano il sistema nervoso centrale e periferico, il sistema muscolare e l’apparato digerente.
Agenti etiologici
Le numerose ricerche effettuate per evidenziare gli agenti etiologici della polmonite ab ingestis hanno costantemente dimostrato che i principali responsabili di questa forma morbosa sono i microrganismi anaerobi orali individuati in oltre l’85% dei casi; segue in poco più del 7% dei casi lo stafilococco aureo e poi, in poco più del 5% dei pazienti alcuni bacilli Gram positivi.
Come si vede la popolazione batterica della polmonite ab ingestis è assai differente da quella che si riscontra nelle polmoniti contratte in ambito ospedaliero, che vedono coinvolte specie microbiche di varia natura, con prevalenza di Gram negativi, stafilococco e quindi di anaerobi, quando non accada, come si verifica spesso, che le polmoniti siano sostenute da una flora mista polimicrobica.
Clinica
In presenza di una forma clinica conclamata, la polmonite ab ingestis si esprime in modo simile a quella di pazienti affetti da altre polmoniti batteriche, sempre tenendo presente che trattandosi di pazienti anziani la progressione della sintomatologia è insidiosa e più lenta, e le manifestazioni cliniche abituali delle infezioni batteriche polmonari come la tosse, la febbre e l’espettorato purulento si manifestano in maniera più attenuata.
Per contro, la compromissione dello stato generale appare decisamente più marcata, e coinvolge non solo la forza fisica, ma anche la capacità di nutrirsi, lo stato di idratazione e di sanguificazione, la continenza sfinterica, il tono dell’umore e le funzioni cognitive.
Inoltre, a differenza di quanto si verifica nelle altre forme di polmoniti da inalazione, la presentazione clinica della polmonite ab ingestis è sempre in ritardo rispetto all’esordio, dato che l’episodio di aspirazione non è generalmente identificato, per cui il meccanismo patogenetico è quasi sempre dedotto a posteriori sulla base della valutazione dei fattori di rischio e del quadro radiologico caratteristico.
E’ frequente pertanto che il paziente si presenti all’osservazione del medico quando l’infezione polmonare è già verso gravi complicanze suppurative, come l’ascesso polmonare e l’empiema pleurico, oppure si è già cronicizzata.
Assolutamente determinante per la diagnosi è il quadro radiologico che dimostra la presenza di infiltrati flogistici localizzati in sedi ben precise che sono le porzioni apicali dei lobi inferiori e le zone posteriori dei lobi superiori quando l’anziano è posizionato in decubito supino, mentre quando l’aspirazione si verifica in pazienti posto in posizione prona oppure semiseduta, le zone solitamente sedi dei focolai polmonari sono i segmenti basali dei lobi inferiori
Terapia
Naturalmente il programma terapeutico da predisporre per il paziente anziano affetto da polmonite ab ingestis deve prevedere l’uso della terapia antibiotica, indispensabile per affrontare e risolvere l’acuzie, alla quale devono essere necessariamente associate tutta una serie di misure preventive per evitare il ripetersi di nuovi episodi di aspirazione, data la spiccata tendenza di questa forma morbosa alle recidive.
Per quanto attiene alla terapia antibiotica, non va dimenticato che l’anziano in genere, e quello colpito da polmonite ab ingestis in particolare, pressoché inevitabilmente presenta un certo grado di compromissione funzionale di organi importanti come fegato e reni, anche in presenza di indici di una ridotta e rallentata eliminazione del chemioterapico adoperato, cui consegue aumento dell’emivita plasmatica e rischio di iperdosaggio.
Ma il danno funzionale di vari organi ed apparati può rendere il paziente anziano più sensibile agli effetti potenziali dannosi diretti di molti antibiotici, esponendolo al rischio di lesioni tossiche renali, epatiche, neurologiche come pure del sistema emopoietico ed emocoagulativo. Particolarmente frequenti sono anche le alterazioni dell’equilibrio idrico ed elettrolitico.
La scelta del tipo di antibiotico dipende ovviamente sia dallo stadio evolutivo della malattia che da un’attenta valutazione dello stato di salute generale del paziente: gli antibiotici più frequentemente adoperati sono i cosiddetti battericidi, soprattutto i battericidi rapidi o dose-dipendenti come i chinoloni di terza generazione e gli aminoglicosidi, oppure, meno spesso, i battericidi lenti o tempo-dipendenti come le betalattamine.
Tra esse ricordiamo penicilline semisintetiche, cefalosporine e l’imipenem, betalattamina non penicillina e non cefalosporina, particolarmente potente e stabile ma da adoperare con molta cautela in pazienti con insufficienza renale.
Da sottolineare che tutti gli antibiotici riportati sopra, ma soprattutto i chinoloni provocano difficilmente e comunque con molta lentezza, la comparsa di fenomeni di resistenza batterica che, se compare, è quasi sempre ed esclusivamente di tipo mutazionale..
Qualora per condizioni cliniche particolari, come gli stati comatosi di diversa etiologia o forme molto gravi di compromissione dello stato di nutrizione, si renda necessario provvedere ad alimentare artificialmente il paziente, è importante essere consapevoli che la nutrizione artificiale, sia che venga attuata tramite sondino naso-gastrico sia mediante gastronomia percutanea endoscopica (PEG) non garantisce alcuna protezione nei confronti della polmonite ab ingestis, che è la causa più frequente di morte in questi pazienti.
Inhalation Pneumonia o Polmoniti da aspirazione
Sono affezioni che, come detto precedentemente, vanno mantenute distinte dalla polmonite ab ingestis, con la quale hanno in comune solo alcuni dei fattori di rischio per l’aspirazione.
Se il materiale aspirato è solido e di dimensioni tali da ostruire le vie aeree maggiori, occorre intervenire con la massima urgenza per rimuovere l’oggetto causa di ostruzione, salvando il paziente dal rischio di morte per soffocamento.
Il materiale solido generalmente rinvenuto in questi casi è rappresentato da cibo o da altri oggetti, come protesi dentarie, monete, gioielli, etc.
Se le dimensioni del corpo ostruente sono sufficientemente piccole si può avere il coinvolgimento delle vie aeree più piccole cui consegue lo sviluppo di una polmonite emorragica.
In caso di inalazione di materiale oleoso sia vegetale che minerale, per lo più proveniente da preparazioni farmaceutiche in gocce che utilizzano queste sostanze come veicoli oppure come eccipienti, si potranno sviluppare polmoniti chimiche edematose ed emorragiche.
Nei soggetti sopravvissuti all’annegamento, a seguito di aspirazione di quantità più o meno cospicua di acqua dolce o salata si potrà avere lo sviluppo di edema degli spazi aerei superiori e di una polmonite essudativo-emorragica.
Qualora l’acqua inalata veicoli detriti e microrganismi il danno polmonare potrà essere molto più severo.
Con il nome di sindrome di Mendelson, dal nome dell’anestesista statunitense Curtis L. Mendelson che per primo nel 1946 la descrisse compiutamente in 66 soggetti operati in anestesia generale, si indica una forma assai grave di polmonite necrotico-emorragica da aspirazione di succhi gastrici acidi rigurgitati dallo stomaco.
L’entità della compromissione polmonare è assai variabile e dipende dalla quantità del materiale aspirato, dalla sua distribuzione e dal suo pH: grossi volumi di materiale diffusamente distribuito e con pH inferiore a 2,5 possono portare a morte rapidamente.
Non si tratta di una forma morbosa particolarmente frequente nell’anziano; i fattori di rischio sono quelli già esaminati per tutte le altre patologie da aspirazione, cui però va aggiunta l’aggravante, e presente, del reflusso gastro-esofageo.
La sintomatologia insorge bruscamente a distanza non superiore alle due ore dall’evento aspirante e consiste in grave dispnea, cianosi, tachicardia e ipotensione; in genere è presente ipossiemia di grado marcato con PaCO2 normale o ridotta.
La radiografia del torace mostra edema polmonare e infiltrati multilobari diffusi.
Il quadro anatomopatologico è quello di un edema polmonare emorragico e di microatelettasie diffuse a chiazze: inizialmente non vi è contaminazione batterica.
Prof. Filippo Nico
Direttore f.r. Dipartimento Tutela Salute Anziani ASL
Primario f.r. Day Hospital Geriatrico
Ospedale Nuovo Regina Margherita
ROMA
Con il nome di polmonite ab ingestis si indica un’affezione polmonare dovuta all’inalazione di secrezioni infette provenienti dalle cavità nasali e dall’orofaringe.
Gli autori anglosassoni classificano questa forma morbosa con il termine aspiration pneumonia, ben differenziata da altri tipi di polmoniti da aspirazione che conseguono all’inalazione di materiale liquido di varia natura, come acqua dolce o salata, oli minerali, succhi gastrici, etc.; o di materiali solidi, polmoniti che vengono raggruppate sotto il termine di inhalation pneumonia.
La diversa denominazione ed il differente inquadramento nosografico non hanno un valore solamente speculativo ma trovano una ragione ben precisa, non ovviamente nel meccanismo patogenetico che è lo stesso, ma nelle differenze del quadro anatomopatologico e clinico.
Mentre infatti la polmonite ab ingestis è il risultato di un’infezione polmonare dovuta alla penetrazione di germi nelle vie respiratorie a seguito di aspirazione di materiale già infetto, le altre forme di polmoniti da aspirazione sono inizialmente sterili trattandosi di polmoniti chimiche e/o irritative, anche se successivamente possono essere complicate dalla sovrapposizione di un’infezione batterica, evento che si verifica piuttosto frequentemente.
Ciò naturalmente nulla toglie alla possibilità che queste forme concretizzino quadri morbosi di estrema gravità, come nella cosiddetta sindrome di Mondelson dovuta ad aspirazione di succhi gastrici, che verrà illustrata più avanti.
Aspiration Pneumonia o Polmonite ab ingestis propriamente detta
Controlli effettuati su larga scala in soggetti sani per valutazioni inerenti ai meccanismi che regolano il sonno hanno evidenziato che ben il 50% di tutti gli adulti aspira piccole quantità di secrezioni rino ed orofaringee senza che per questo ne consegua obbligatoriamente lo sviluppo di una polmonite batterica.
La scarsità del materiale aspirato, la modesta colonizzazione di batteri virulenti, l’efficacia del riflesso della tosse e del trasporto ciliare e la validità dei meccanismi immunitari sia umorali sia cellulari garantiscono in questi casi che il materiale infetto venga prontamente eliminato senza sequele.
Per contro, difese immunitarie compromesse che già di per sé permettono lo sviluppo di cariche significative di batteri virulenti, inefficacia dei sistemi meccanici di allontanamento ed espulsione del materiale aspirato ed abbondante quantità di quest’ultimo possono concorrere all’insorgenza di polmonite ab ingestis.
Quanto detto spiega perché, rispetto a tutta la popolazione di pazienti a rischio di contrarre una polmonite ab ingestis, la probabilità è particolarmente elevata nei pazienti anziani, specie se di età molto avanzata.
Per quanto attiene al volume dell’aspirato, è stato calcolato che sono necessari almeno 25 ml di secrezioni rino ed orofaringee per determinare infezioni da anaerobi misti nel polmone in una percentuale di casi compresa tra il 60 e il 90%.
Studi epidemiologici hanno dimostrato che circa il 15% delle affezioni polmonari acute dell’anziano sono polmoniti ab ingestis, forma morbosa che rappresenta la causa più comune di morte negli anziani con turbe delle deglutizione dovute a malattie neurologiche.
Inoltre l’incidenza di questa patologia è particolarmente frequente negli anziani ospiti di case di riposo, circa il 18% a fronte del 5% che rappresenta la percentuale di incidenza negli anziani che vivono in famiglia o comunque nella propria abitazione.
Un dato interessante infine è che un’accurata igiene orale riduce sensibilmente la probabilità di contrarre una polmonite ab ingestis rispetto alla popolazione anziana a rischio: il rilievo è stato effettuato tra soggetti edentuli nei quali è molto più facile provvedere ad una valida pulizia del cavo orale e delle protesi.
Fattori di rischio
I fattori che espongono al rischio di aspirazione di secrezioni rino ed orofaringee sono numerosi e quanto mai vari. Alcuni sono comuni a soggetti di tutte le età, altri invece sono specifici dei pazienti anziani, tra questi ultimi ricordiamo:
Un fattore di rischio spesso dimenticato e comunque quasi sempre sottovalutato è rappresentato dall’assunzione cronica e continuata di certi farmaci assai frequentemente prescritti a pazienti anziani:
Tra i fattori di rischio comuni a pazienti di tutte le età, e quindi anche agli anziani, ricordiamo:
Per quanto attiene a quest’ultimo fattore va ricordato che la deglutizione, è in realtà un processo fisiologico complesso che richiede anche una serie di momenti preparatori che precedono l’ingresso del bolo nell’esofago, indispensabili per impedire il rigurgito del materiale nelle cavità nasali e nelle vie respiratorie, ma anche per proteggere la normale pressione dell’orecchio interno.
Nel processo intervengono ben sei nervi cranici e i loro centri coordinati da un centro della deglutizione posto nel bulbo, sul pavimento del quarto ventricolo, non a caso in prossimità del centro della respirazione.
Le cause che possono provocare difetti della deglutizione sono quanto mai varie: infiammatorie, neoplastiche, traumatiche ma anche come postumi di interventi chirurgici o, più raramente, congenite, e riguardano il sistema nervoso centrale e periferico, il sistema muscolare e l’apparato digerente.
Agenti etiologici
Le numerose ricerche effettuate per evidenziare gli agenti etiologici della polmonite ab ingestis hanno costantemente dimostrato che i principali responsabili di questa forma morbosa sono i microrganismi anaerobi orali individuati in oltre l’85% dei casi; segue in poco più del 7% dei casi lo stafilococco aureo e poi, in poco più del 5% dei pazienti alcuni bacilli Gram positivi.
Come si vede la popolazione batterica della polmonite ab ingestis è assai differente da quella che si riscontra nelle polmoniti contratte in ambito ospedaliero, che vedono coinvolte specie microbiche di varia natura, con prevalenza di Gram negativi, stafilococco e quindi di anaerobi, quando non accada, come si verifica spesso, che le polmoniti siano sostenute da una flora mista polimicrobica.
Clinica
In presenza di una forma clinica conclamata, la polmonite ab ingestis si esprime in modo simile a quella di pazienti affetti da altre polmoniti batteriche, sempre tenendo presente che trattandosi di pazienti anziani la progressione della sintomatologia è insidiosa e più lenta, e le manifestazioni cliniche abituali delle infezioni batteriche polmonari come la tosse, la febbre e l’espettorato purulento si manifestano in maniera più attenuata.
Per contro, la compromissione dello stato generale appare decisamente più marcata, e coinvolge non solo la forza fisica, ma anche la capacità di nutrirsi, lo stato di idratazione e di sanguificazione, la continenza sfinterica, il tono dell’umore e le funzioni cognitive.
Inoltre, a differenza di quanto si verifica nelle altre forme di polmoniti da inalazione, la presentazione clinica della polmonite ab ingestis è sempre in ritardo rispetto all’esordio, dato che l’episodio di aspirazione non è generalmente identificato, per cui il meccanismo patogenetico è quasi sempre dedotto a posteriori sulla base della valutazione dei fattori di rischio e del quadro radiologico caratteristico.
E’ frequente pertanto che il paziente si presenti all’osservazione del medico quando l’infezione polmonare è già verso gravi complicanze suppurative, come l’ascesso polmonare e l’empiema pleurico, oppure si è già cronicizzata.
Assolutamente determinante per la diagnosi è il quadro radiologico che dimostra la presenza di infiltrati flogistici localizzati in sedi ben precise che sono le porzioni apicali dei lobi inferiori e le zone posteriori dei lobi superiori quando l’anziano è posizionato in decubito supino, mentre quando l’aspirazione si verifica in pazienti posto in posizione prona oppure semiseduta, le zone solitamente sedi dei focolai polmonari sono i segmenti basali dei lobi inferiori
Terapia
Naturalmente il programma terapeutico da predisporre per il paziente anziano affetto da polmonite ab ingestis deve prevedere l’uso della terapia antibiotica, indispensabile per affrontare e risolvere l’acuzie, alla quale devono essere necessariamente associate tutta una serie di misure preventive per evitare il ripetersi di nuovi episodi di aspirazione, data la spiccata tendenza di questa forma morbosa alle recidive.
Per quanto attiene alla terapia antibiotica, non va dimenticato che l’anziano in genere, e quello colpito da polmonite ab ingestis in particolare, pressoché inevitabilmente presenta un certo grado di compromissione funzionale di organi importanti come fegato e reni, anche in presenza di indici di una ridotta e rallentata eliminazione del chemioterapico adoperato, cui consegue aumento dell’emivita plasmatica e rischio di iperdosaggio.
Ma il danno funzionale di vari organi ed apparati può rendere il paziente anziano più sensibile agli effetti potenziali dannosi diretti di molti antibiotici, esponendolo al rischio di lesioni tossiche renali, epatiche, neurologiche come pure del sistema emopoietico ed emocoagulativo. Particolarmente frequenti sono anche le alterazioni dell’equilibrio idrico ed elettrolitico.
La scelta del tipo di antibiotico dipende ovviamente sia dallo stadio evolutivo della malattia che da un’attenta valutazione dello stato di salute generale del paziente: gli antibiotici più frequentemente adoperati sono i cosiddetti battericidi, soprattutto i battericidi rapidi o dose-dipendenti come i chinoloni di terza generazione e gli aminoglicosidi, oppure, meno spesso, i battericidi lenti o tempo-dipendenti come le betalattamine.
Tra esse ricordiamo penicilline semisintetiche, cefalosporine e l’imipenem, betalattamina non penicillina e non cefalosporina, particolarmente potente e stabile ma da adoperare con molta cautela in pazienti con insufficienza renale.
Da sottolineare che tutti gli antibiotici riportati sopra, ma soprattutto i chinoloni provocano difficilmente e comunque con molta lentezza, la comparsa di fenomeni di resistenza batterica che, se compare, è quasi sempre ed esclusivamente di tipo mutazionale..
Qualora per condizioni cliniche particolari, come gli stati comatosi di diversa etiologia o forme molto gravi di compromissione dello stato di nutrizione, si renda necessario provvedere ad alimentare artificialmente il paziente, è importante essere consapevoli che la nutrizione artificiale, sia che venga attuata tramite sondino naso-gastrico sia mediante gastronomia percutanea endoscopica (PEG) non garantisce alcuna protezione nei confronti della polmonite ab ingestis, che è la causa più frequente di morte in questi pazienti.
Inhalation Pneumonia o Polmoniti da aspirazione
Sono affezioni che, come detto precedentemente, vanno mantenute distinte dalla polmonite ab ingestis, con la quale hanno in comune solo alcuni dei fattori di rischio per l’aspirazione.
Se il materiale aspirato è solido e di dimensioni tali da ostruire le vie aeree maggiori, occorre intervenire con la massima urgenza per rimuovere l’oggetto causa di ostruzione, salvando il paziente dal rischio di morte per soffocamento.
Il materiale solido generalmente rinvenuto in questi casi è rappresentato da cibo o da altri oggetti, come protesi dentarie, monete, gioielli, etc.
Se le dimensioni del corpo ostruente sono sufficientemente piccole si può avere il coinvolgimento delle vie aeree più piccole cui consegue lo sviluppo di una polmonite emorragica.
In caso di inalazione di materiale oleoso sia vegetale che minerale, per lo più proveniente da preparazioni farmaceutiche in gocce che utilizzano queste sostanze come veicoli oppure come eccipienti, si potranno sviluppare polmoniti chimiche edematose ed emorragiche.
Nei soggetti sopravvissuti all’annegamento, a seguito di aspirazione di quantità più o meno cospicua di acqua dolce o salata si potrà avere lo sviluppo di edema degli spazi aerei superiori e di una polmonite essudativo-emorragica.
Qualora l’acqua inalata veicoli detriti e microrganismi il danno polmonare potrà essere molto più severo.
Con il nome di sindrome di Mendelson, dal nome dell’anestesista statunitense Curtis L. Mendelson che per primo nel 1946 la descrisse compiutamente in 66 soggetti operati in anestesia generale, si indica una forma assai grave di polmonite necrotico-emorragica da aspirazione di succhi gastrici acidi rigurgitati dallo stomaco.
L’entità della compromissione polmonare è assai variabile e dipende dalla quantità del materiale aspirato, dalla sua distribuzione e dal suo pH: grossi volumi di materiale diffusamente distribuito e con pH inferiore a 2,5 possono portare a morte rapidamente.
Non si tratta di una forma morbosa particolarmente frequente nell’anziano; i fattori di rischio sono quelli già esaminati per tutte le altre patologie da aspirazione, cui però va aggiunta l’aggravante, e presente, del reflusso gastro-esofageo.
La sintomatologia insorge bruscamente a distanza non superiore alle due ore dall’evento aspirante e consiste in grave dispnea, cianosi, tachicardia e ipotensione; in genere è presente ipossiemia di grado marcato con PaCO2 normale o ridotta.
La radiografia del torace mostra edema polmonare e infiltrati multilobari diffusi.
Il quadro anatomopatologico è quello di un edema polmonare emorragico e di microatelettasie diffuse a chiazze: inizialmente non vi è contaminazione batterica.
Prof. Filippo Nico
Direttore f.r. Dipartimento Tutela Salute Anziani ASL
Primario f.r. Day Hospital Geriatrico
Ospedale Nuovo Regina Margherita
ROMA
La fragilità dal latino frangere che vuol dire rompere, è una qualità di svariati oggetti o cose che presentano una grande facilità a rompersi al minimo urto, ed a cedere da un momento all’altro anche senza cause particolarmente evidenti. Dal punto di vista del geriatra la fragilità è definita come sindrome biologica caratterizzata da una diminuzione critica delle riserve funzionali e da calo della resistenza ad eventi aggressivi, sindrome dovuta al declino di molteplici sistemi fisiologici che si manifesta con una vulnerabilità aumentata a fronte di agenti nocivi.
La fragilità pertanto non è una malattia, ma è una condizione complessa di equilibrio funzionale estremamente precario che rischia di rompersi al minimo trauma o crollare alla minima occasione avversa. Da quanto detto risulta evidente che verrà definito "fragile" ogni soggetto che presenti uno stato di salute psico-fisico estremamente instabile. Si tratta quindi di soggetti che hanno:
Sono soggetti che subiscono più ricoveri ospedalieri nell’ambito dello stesso anno, e che, se riescono a guarire dalla patologia che li ha portati in ospedale, ci riescono a fatica, dopo molto tempo e comunque con un recupero funzionale che non è mai completo, per cui non tornano mai ad essere come erano prima. Sono infine pazienti ad alto rischio di mortalità.
Ma quali sono le condizioni che portano l’anziano alla fragilità?
Non è l’età anagrafica, non è la demenza, non è la comorbidità, non è una disabilità già presente e non è neppure la coesistenza di tutti questi stati messi insieme, ma è la risultante di meccanismi complessi che attraverso percorsi di volta in volta diversi e non del tutto noti compromettono l’equilibrio precario preesistente e predispongono l’anziano al cosiddetto "scompenso a cascata".
Di certo la fragilità è una condizione assai frequente nei "grandi vecchi": l’anziano fragile è cosi definito perché rappresenta quella categoria di soggetti che si è "logorata" con il passare degli anni e quindi si è "indebolita", divenendo pertanto più esposta alle conseguenze della cascata di eventi negativi. Sono cioè individui che hanno di solito un’età molto avanzata con la presenza di più patologie che li espongono al rischio di disabilità, alla perdita di autonomia, all’istituzionalizzazione, alla morte.
Va tuttavia precisato ulteriormente che non è sufficiente essere molto vecchi per essere fragili, e neppure è sufficiente essere vecchi, disabili, affetti da molte malattie, assumere molti farmaci: l’età molto avanzata, la disabilità, la comorbidità, da sole o insieme, possono essere elementi che identificano solamente in maniera probabilistica il rischio di fragilità.
Ma nessuna di queste condizioni è necessaria né tantomeno sufficiente per porre diagnosi di fragilità, diagnosi che potremo porre solo dopo che si sia verificata la cascata di eventi negativi che, a fronte di noxae di modesta gravità, portano l’anziano o allo scompenso funzionale totale, o alla perdita dell’autonomia, o addirittura al decesso: da quanto detto risulta facilmente comprensibile quanto sia importante riconoscere tempestivamente la presenza del rischio di fragilità.
E’ evidente che l’identificazione degli anziani esposti al rischio di fragilità sarà facilitata se si porrà attenzione a scegliere i soggetti selezionandoli tra individui di età molto avanzata, affetti da patologie per lo più multiple e per lo più croniche, degenerative, frequentemente disabili o ad elevato rischio di diventarlo, spesso con severe difficoltà di tipo economico e socioambientali.
Misurare la fragilità
Il rischio di fragilità deve essere individuato sulla base di rilevazioni attinenti a parametri biologici, clinici, funzionali, psicologici e sociali. Per riconoscere più facilmente l’anziano a rischio sarà utile servirsi di uno strumento di valutazione, che noi proponiamo, articolato in cinque quadri atti ad esplorare le principali variabili che compongono il profilo morfofunzionale dell’anziano:
Per ogni quadro viene stabilito un punteggio proporzionato al valore dell’item esplorato: dalla somma complessiva dei punti riportati nei singoli quadri si potrà avere un’indicazione attendibile per valutare se ci si trova di fronte ad un soggetto a rischio di fragilità (vedi tabella).
Più semplicemente uno strumento di valutazione utile per il riconoscimento dell’anziano a rischio di fragilità è il verificare l’esistenza o meno delle grandi sindromi geriatriche ed il "peso" relativo di ciascuna di esse. Stiamo facendo riferimento alle cosidette sindromi delle cinque i, così indicate dalla lettera iniziale del termine inglese che le definisce:
E’ evidente che l’over 75 che si trovi ad essere sofferente di tutte o gran parte delle grandi sindromi geriatriche è sicuramente classificabile come anziano a rischio, fortemente esposto a divenire fragile.
Particolare attenzione per quanto attiene al problema di cui ci stiamo occupando va riservata alla sindrome "immobility" perchè causa di alterazioni anche severe della meccanica della respirazione e di complicanze infettive respiratorie, ed alla sindrome "iatrogenic drug reactions" per la possibilità di trovarci di fronte all’abuso di farmaci che provocano depressione respiratoria.
Le caratteristiche e il ruolo dell’ossigeno
Occorre una premessa per affrontare il problema di come e perchè la BPCO riesca a trasformare un soggetto anziano con più di 75 anni ma in buone condizioni di salute in un "anziano fragile" esposto al rischio di scompenso totale, se non addirittura di decesso anche a fronte di noxae di scarsa virulenza.
Penso sia utile sottolineare l’importanza di questa patologia che rappresenta in senso assoluto la quinta causa di ricorso al ricovero ospedaliero, ove tra l’altro i soggetti ricoverati sono nel 23% dei casi rappresentati proprio da anziani over 75.
E sarà anche utile ricordare alcune note di biologia e di fisiologia riguardanti l’ossigeno e la sua fondamentale ed insostituibile attività per gli esseri viventi.
Questo elemento, scoperto nel 1774 (Priestley) e riconosciuto nel 1777 (Scheele) come costituente fondamentale dell’aria atmosferica è molto abbondante in natura, tanto da costituire, con i suoi 8 neutroni, 8 protoni ed 8 elettroni, ben il 46,5 % in peso della crosta terrestre, il 20 % dell’atmosfera e addirittura l’89 % dell’acqua, sempre in peso.
Se facciamo riferimento poi alle strutture viventi e quindi anche all’uomo, vediamo che circa i 2/3 del loro peso è costituito dall’ossigeno: in dettaglio, tra le sostanze che compongono la quasi totalità degli esseri viventi abbiamo l’acqua di cui l’ossigeno rappresenta, come abbiamo visto, l’89 % del peso, i glicidi e le proteine in cui il peso dell’ossigeno varia tra il 52 % per i primi ed il 30 % per le seconde, mentre per i grassi è tra il 10 ed il 15 %; persino nell’elemento calcico fondamentale delle ossa, il trifosfato di calcio l’ossigeno rappresenta il 41 % del peso.
Affrontare le alterazioni strutturali causate dalla BPCO
La BPCO, già nel momento in cui provoca una ipossiemia arteriosa con valori di pressione parziale dell’ossigeno compresi tra 55 e 60 mm hg, cessa di essere una malattia d’organo e diviene a pieno titolo una malattia sistemica, in grado di provocare sintomi e segni strumentali e clinici a carico del sistema emopoietico, del cuore e del sistema nervoso centrale, strutture che sono le prime a manifestare scompensi funzionali da ipossia.
Successivamente, e soprattutto in presenza di una pO2 (pressione parziale dell’ossigeno), inferiore a 55 mmHg, il danno funzionale interesserà i reni, il sistema endocrino, il fegato, l’apparato digerente, in pratica l’intero organismo.
Va inoltre ricordato che l’ipossia tessutale determina un riassestamento reologico distrettuale svantaggioso che provoca una specie di giro vizioso che aggrava i sintomi dell’ipossia tessutale medesima.
Il meccanismo con cui la BPCO causa alterazioni strutturali dei vari organi ed apparati non è legato solamente alla diminuzione della tensione di ossigeno del sangue arterioso, ma anche all’abbassamento della tensione di questo gas nel sangue venoso: ne deriva quindi un calo del gradiente di tensione tra sangue e tessuti, calo che rende più difficile la cessione dell’ossigeno ai tessuti medesimi.
Data la gravità dei sintomi provocati dalla BPCO, malattia che coinvolge l’intero organismo, è evidente che questa patologia deve essere ritenuta particolarmente pericolosa per l’anziano over 75, dal momento che, compromettendo l’equilibrio funzionale di tutti gli organi e di tutti gli apparati, lo espongono al rischio di trasformarsi in un soggetto fragile.
Questo è il motivo che chiarisce quanto sia importante conoscere il rischio di fragilità, concetto su cui abbiamo insistito all’inizio di questa relazione.
E’ chiaro che quanto più è grave la BPCO e quanto più lunga è stata la durata della sua azione lesiva sugli organi dell’intero organismo, tanto più grande sarà il rischio di trovare che l’anziano over 75 è precipitato nella condizione di fragilità.
Non esistono dati precisi al riguardo: si presume che per pO2 tra 55 e 60 mmHg siano sufficienti quattro anni per portare l’anziano over 75 a rischio di scompenso; per pO2 sotto i 55 mmHg il tempo occorrente per compromettere irrimediabilmente l’equilibrio dell’anziano è valutabile attorno ai 24 mesi; naturalmente sono stime solamente approssimative che non tengono conto della eventuale coesistenza di altri fattori di rischio, delle caratteristiche strutturali del soggetto e delle sempre possibili riacutizzazioni stagionali che possono severamente accorciare i tempi.
La gravità di questa forma morbosa, la sua caratteristica di agire in maniera progressiva ma molto spesso subdola, silenziosa, obbligano a nostro avviso lo pneumologo che si trovi di fronte ad un anziano over 75 a valutare con estrema puntualità lo stato funzionale di tutti i principali apparati, per individuare i soggetti a rischio di fragilità.
Saranno questi i pazienti che richiederanno un’attenzione del tutto particolare sia per quanto attiene al trattamento della malattia in oggetto che per la cura e la riabilitazione di ogni altra patologia eventualmente presente.
Sarà così possibile evitare di trovarsi impreparati di fronte ad emergenze drammatiche dovute all’andamento clinico spesso addirittura catastrofico che nell’anziano fragile può sempre verificarsi anche a fronte di aggressioni da agenti patogeni che per altri soggetti della stessa età ma non in condizioni di fragilità sono, se non trascurabili, quanto meno di modesta rilevanza clinica, comunque non in grado non solo di esporre l’anziano al rischio di un esito infausto, ma neppure di veder compromessa in modo definitivo la propria autonomia
TABELLA
VALUTAZIONE DEL PROFILO MORFOFUNZIONALE DELL’ANZIANO
QUADRO 1 = AREA BIOLOGICA | ||
età | oltre i 75 anni la percentuale di rischio di perdita dell'autonomia si raddoppia ogni 7 anni | |
75 anni | punti 1 | |
82 anni | punti 2 | |
89 anni | punti 4 | |
96 anni | punti 8 | |
103 anni | punti 16 | |
peso | perdita immotivata di peso corporeo, a partire da almeno 5 Kg in 1 anno;il rischio raddoppia per ogni ulteriore 2 Kg di perdita di peso | |
5 Kg | punti 1 | |
7 Kg | punti 2 | |
9 Kg | punti 4 | |
11 Kg | punti 8 | |
stato di disidratazione: | punti 1 | |
stato di malnutrizione: | punti 1 | |
QUADRO 2 = AREA MEDICA | ||
Valuta la presenza cronica di uno stato o più stati morbosi: | ||
broncopneumopatie croniche | punti 1 | |
cardiopatia coronaria e/o ipertensiva | punti 1 | |
cerebrovasculopatie | punti 1 | |
diabete | punti 1 | |
affezioni dell'equilibrio, della vista o dell'udito | punti 1 | |
affezioni osteo-articolari | punti 1 | |
assunzione di 3 o più farmaci | punti 1 | |
QUADRO 3 = AREA FUNZIONALE | ||
alzarsi da una sedia e percorre 5 mt in: | 5 secondi | punti 0 |
alzarsi da una sedia e percorre 5 mt in: | 6 secondi | punti 1 |
alzarsi da una sedia e percorre 5 mt in: | 7 secondi | punti 2 |
alzarsi da una sedia e percorre 5 mt in: | 8 secondi | punti 3 |
sollevare un peso di 2 Kg sino all'altezza del viso | ||
e mantenerlo sollevato per: | 5 secondi | punti 0 |
e mantenerlo sollevato per: | 4 secondi | punti 1 |
e mantenerlo sollevato per: | 3 secondi | punti 2 |
e mantenerlo sollevato per: | 2 secondi | punti 3 |
e mantenerlo sollevato per: | 1 secondi | punti 4 |
non riuscire a compiere l'esercizio | punti 5 | |
incontinenza urinaria occasionale | punti 1 | |
incontinenza urinaria permanente | punti 3 | |
incontinenza fecale occasionale | punti 1 | |
incontinenza fecale permanente | punti 3 | |
QUADRO 4 = AREA DELLA CAPACITÀ COGNITIVA E DEL TONO DELL'UMORE | ||
turbe del sonno | punti 1 | |
diminuzione della memoria | punti 1 | |
occasionale stato confusionale | punti 1 | |
occasionale episodio di allucinazioni e/o di delirio | punti 2 | |
stato permanente di ansia/depressione | ||
(agitazione,sconforto, facilità al pianto) | punti 2 | |
difetto di concentrazione e/o apprendimento | punti 2 | |
QUADRO 5 = AREA SOCIOAMBIENTALE | ||
solitudine | punti 2 | |
scarsi mezzi di sostentamento | punti 3 | |
barriere architettoniche domestiche | punti 3 | |
QUADRO RIASSUNTIVO | MINIMO DI PUNTI | MAX DI PUNTI |
AREA BIOLOGICA | 4 | 26 |
AREA MEDICA | 1 | 7 |
AREA FUNZIONALE | 0 | 12 |
AREA COGNITIVA E DELL'UMORE | 1 | 9 |
La coesistenza di punteggi anche minimi in tutte e 5 le aree esaminate è segno di elevato rischio di compromissione dell'autonomia, come pure la coesistenza di punteggi intermedi in almeno 3 aree o di di punteggi massimi in almeno 2 aree. |
Prof. Filippo Nico
Direttore f.r. Dipartimento Tutela Salute Anziani ASL RMA—Roma
Primario f.r. Day Hospital Geriatrico Ospedale Nuovo Regina Margherita - Roma
La fragilità dal latino frangere che vuol dire rompere, è una qualità di svariati oggetti o cose che presentano una grande facilità a rompersi al minimo urto, ed a cedere da un momento all’altro anche senza cause particolarmente evidenti. Dal punto di vista del geriatra la fragilità è definita come sindrome biologica caratterizzata da una diminuzione critica delle riserve funzionali e da calo della resistenza ad eventi aggressivi, sindrome dovuta al declino di molteplici sistemi fisiologici che si manifesta con una vulnerabilità aumentata a fronte di agenti nocivi.
La fragilità pertanto non è una malattia, ma è una condizione complessa di equilibrio funzionale estremamente precario che rischia di rompersi al minimo trauma o crollare alla minima occasione avversa. Da quanto detto risulta evidente che verrà definito "fragile" ogni soggetto che presenti uno stato di salute psico-fisico estremamente instabile. Si tratta quindi di soggetti che hanno:
Sono soggetti che subiscono più ricoveri ospedalieri nell’ambito dello stesso anno, e che, se riescono a guarire dalla patologia che li ha portati in ospedale, ci riescono a fatica, dopo molto tempo e comunque con un recupero funzionale che non è mai completo, per cui non tornano mai ad essere come erano prima. Sono infine pazienti ad alto rischio di mortalità.
Ma quali sono le condizioni che portano l’anziano alla fragilità?
Non è l’età anagrafica, non è la demenza, non è la comorbidità, non è una disabilità già presente e non è neppure la coesistenza di tutti questi stati messi insieme, ma è la risultante di meccanismi complessi che attraverso percorsi di volta in volta diversi e non del tutto noti compromettono l’equilibrio precario preesistente e predispongono l’anziano al cosiddetto "scompenso a cascata".
Di certo la fragilità è una condizione assai frequente nei "grandi vecchi": l’anziano fragile è cosi definito perché rappresenta quella categoria di soggetti che si è "logorata" con il passare degli anni e quindi si è "indebolita", divenendo pertanto più esposta alle conseguenze della cascata di eventi negativi. Sono cioè individui che hanno di solito un’età molto avanzata con la presenza di più patologie che li espongono al rischio di disabilità, alla perdita di autonomia, all’istituzionalizzazione, alla morte.
Va tuttavia precisato ulteriormente che non è sufficiente essere molto vecchi per essere fragili, e neppure è sufficiente essere vecchi, disabili, affetti da molte malattie, assumere molti farmaci: l’età molto avanzata, la disabilità, la comorbidità, da sole o insieme, possono essere elementi che identificano solamente in maniera probabilistica il rischio di fragilità.
Ma nessuna di queste condizioni è necessaria né tantomeno sufficiente per porre diagnosi di fragilità, diagnosi che potremo porre solo dopo che si sia verificata la cascata di eventi negativi che, a fronte di noxae di modesta gravità, portano l’anziano o allo scompenso funzionale totale, o alla perdita dell’autonomia, o addirittura al decesso: da quanto detto risulta facilmente comprensibile quanto sia importante riconoscere tempestivamente la presenza del rischio di fragilità.
E’ evidente che l’identificazione degli anziani esposti al rischio di fragilità sarà facilitata se si porrà attenzione a scegliere i soggetti selezionandoli tra individui di età molto avanzata, affetti da patologie per lo più multiple e per lo più croniche, degenerative, frequentemente disabili o ad elevato rischio di diventarlo, spesso con severe difficoltà di tipo economico e socioambientali.
Misurare la fragilità
Il rischio di fragilità deve essere individuato sulla base di rilevazioni attinenti a parametri biologici, clinici, funzionali, psicologici e sociali. Per riconoscere più facilmente l’anziano a rischio sarà utile servirsi di uno strumento di valutazione, che noi proponiamo, articolato in cinque quadri atti ad esplorare le principali variabili che compongono il profilo morfofunzionale dell’anziano:
Per ogni quadro viene stabilito un punteggio proporzionato al valore dell’item esplorato: dalla somma complessiva dei punti riportati nei singoli quadri si potrà avere un’indicazione attendibile per valutare se ci si trova di fronte ad un soggetto a rischio di fragilità (vedi tabella).
Più semplicemente uno strumento di valutazione utile per il riconoscimento dell’anziano a rischio di fragilità è il verificare l’esistenza o meno delle grandi sindromi geriatriche ed il "peso" relativo di ciascuna di esse. Stiamo facendo riferimento alle cosidette sindromi delle cinque i, così indicate dalla lettera iniziale del termine inglese che le definisce:
E’ evidente che l’over 75 che si trovi ad essere sofferente di tutte o gran parte delle grandi sindromi geriatriche è sicuramente classificabile come anziano a rischio, fortemente esposto a divenire fragile.
Particolare attenzione per quanto attiene al problema di cui ci stiamo occupando va riservata alla sindrome "immobility" perchè causa di alterazioni anche severe della meccanica della respirazione e di complicanze infettive respiratorie, ed alla sindrome "iatrogenic drug reactions" per la possibilità di trovarci di fronte all’abuso di farmaci che provocano depressione respiratoria.
Le caratteristiche e il ruolo dell’ossigeno
Occorre una premessa per affrontare il problema di come e perchè la BPCO riesca a trasformare un soggetto anziano con più di 75 anni ma in buone condizioni di salute in un "anziano fragile" esposto al rischio di scompenso totale, se non addirittura di decesso anche a fronte di noxae di scarsa virulenza.
Penso sia utile sottolineare l’importanza di questa patologia che rappresenta in senso assoluto la quinta causa di ricorso al ricovero ospedaliero, ove tra l’altro i soggetti ricoverati sono nel 23% dei casi rappresentati proprio da anziani over 75.
E sarà anche utile ricordare alcune note di biologia e di fisiologia riguardanti l’ossigeno e la sua fondamentale ed insostituibile attività per gli esseri viventi.
Questo elemento, scoperto nel 1774 (Priestley) e riconosciuto nel 1777 (Scheele) come costituente fondamentale dell’aria atmosferica è molto abbondante in natura, tanto da costituire, con i suoi 8 neutroni, 8 protoni ed 8 elettroni, ben il 46,5 % in peso della crosta terrestre, il 20 % dell’atmosfera e addirittura l’89 % dell’acqua, sempre in peso.
Se facciamo riferimento poi alle strutture viventi e quindi anche all’uomo, vediamo che circa i 2/3 del loro peso è costituito dall’ossigeno: in dettaglio, tra le sostanze che compongono la quasi totalità degli esseri viventi abbiamo l’acqua di cui l’ossigeno rappresenta, come abbiamo visto, l’89 % del peso, i glicidi e le proteine in cui il peso dell’ossigeno varia tra il 52 % per i primi ed il 30 % per le seconde, mentre per i grassi è tra il 10 ed il 15 %; persino nell’elemento calcico fondamentale delle ossa, il trifosfato di calcio l’ossigeno rappresenta il 41 % del peso.
Affrontare le alterazioni strutturali causate dalla BPCO
La BPCO, già nel momento in cui provoca una ipossiemia arteriosa con valori di pressione parziale dell’ossigeno compresi tra 55 e 60 mm hg, cessa di essere una malattia d’organo e diviene a pieno titolo una malattia sistemica, in grado di provocare sintomi e segni strumentali e clinici a carico del sistema emopoietico, del cuore e del sistema nervoso centrale, strutture che sono le prime a manifestare scompensi funzionali da ipossia.
Successivamente, e soprattutto in presenza di una pO2 (pressione parziale dell’ossigeno), inferiore a 55 mmHg, il danno funzionale interesserà i reni, il sistema endocrino, il fegato, l’apparato digerente, in pratica l’intero organismo.
Va inoltre ricordato che l’ipossia tessutale determina un riassestamento reologico distrettuale svantaggioso che provoca una specie di giro vizioso che aggrava i sintomi dell’ipossia tessutale medesima.
Il meccanismo con cui la BPCO causa alterazioni strutturali dei vari organi ed apparati non è legato solamente alla diminuzione della tensione di ossigeno del sangue arterioso, ma anche all’abbassamento della tensione di questo gas nel sangue venoso: ne deriva quindi un calo del gradiente di tensione tra sangue e tessuti, calo che rende più difficile la cessione dell’ossigeno ai tessuti medesimi.
Data la gravità dei sintomi provocati dalla BPCO, malattia che coinvolge l’intero organismo, è evidente che questa patologia deve essere ritenuta particolarmente pericolosa per l’anziano over 75, dal momento che, compromettendo l’equilibrio funzionale di tutti gli organi e di tutti gli apparati, lo espongono al rischio di trasformarsi in un soggetto fragile.
Questo è il motivo che chiarisce quanto sia importante conoscere il rischio di fragilità, concetto su cui abbiamo insistito all’inizio di questa relazione.
E’ chiaro che quanto più è grave la BPCO e quanto più lunga è stata la durata della sua azione lesiva sugli organi dell’intero organismo, tanto più grande sarà il rischio di trovare che l’anziano over 75 è precipitato nella condizione di fragilità.
Non esistono dati precisi al riguardo: si presume che per pO2 tra 55 e 60 mmHg siano sufficienti quattro anni per portare l’anziano over 75 a rischio di scompenso; per pO2 sotto i 55 mmHg il tempo occorrente per compromettere irrimediabilmente l’equilibrio dell’anziano è valutabile attorno ai 24 mesi; naturalmente sono stime solamente approssimative che non tengono conto della eventuale coesistenza di altri fattori di rischio, delle caratteristiche strutturali del soggetto e delle sempre possibili riacutizzazioni stagionali che possono severamente accorciare i tempi.
La gravità di questa forma morbosa, la sua caratteristica di agire in maniera progressiva ma molto spesso subdola, silenziosa, obbligano a nostro avviso lo pneumologo che si trovi di fronte ad un anziano over 75 a valutare con estrema puntualità lo stato funzionale di tutti i principali apparati, per individuare i soggetti a rischio di fragilità.
Saranno questi i pazienti che richiederanno un’attenzione del tutto particolare sia per quanto attiene al trattamento della malattia in oggetto che per la cura e la riabilitazione di ogni altra patologia eventualmente presente.
Sarà così possibile evitare di trovarsi impreparati di fronte ad emergenze drammatiche dovute all’andamento clinico spesso addirittura catastrofico che nell’anziano fragile può sempre verificarsi anche a fronte di aggressioni da agenti patogeni che per altri soggetti della stessa età ma non in condizioni di fragilità sono, se non trascurabili, quanto meno di modesta rilevanza clinica, comunque non in grado non solo di esporre l’anziano al rischio di un esito infausto, ma neppure di veder compromessa in modo definitivo la propria autonomia
TABELLA
VALUTAZIONE DEL PROFILO MORFOFUNZIONALE DELL’ANZIANO
QUADRO 1 = AREA BIOLOGICA | ||
età | oltre i 75 anni la percentuale di rischio di perdita dell'autonomia si raddoppia ogni 7 anni | |
75 anni | punti 1 | |
82 anni | punti 2 | |
89 anni | punti 4 | |
96 anni | punti 8 | |
103 anni | punti 16 | |
peso | perdita immotivata di peso corporeo, a partire da almeno 5 Kg in 1 anno;il rischio raddoppia per ogni ulteriore 2 Kg di perdita di peso | |
5 Kg | punti 1 | |
7 Kg | punti 2 | |
9 Kg | punti 4 | |
11 Kg | punti 8 | |
stato di disidratazione: | punti 1 | |
stato di malnutrizione: | punti 1 | |
QUADRO 2 = AREA MEDICA | ||
Valuta la presenza cronica di uno stato o più stati morbosi: | ||
broncopneumopatie croniche | punti 1 | |
cardiopatia coronaria e/o ipertensiva | punti 1 | |
cerebrovasculopatie | punti 1 | |
diabete | punti 1 | |
affezioni dell'equilibrio, della vista o dell'udito | punti 1 | |
affezioni osteo-articolari | punti 1 | |
assunzione di 3 o più farmaci | punti 1 | |
QUADRO 3 = AREA FUNZIONALE | ||
alzarsi da una sedia e percorre 5 mt in: | 5 secondi | punti 0 |
alzarsi da una sedia e percorre 5 mt in: | 6 secondi | punti 1 |
alzarsi da una sedia e percorre 5 mt in: | 7 secondi | punti 2 |
alzarsi da una sedia e percorre 5 mt in: | 8 secondi | punti 3 |
sollevare un peso di 2 Kg sino all'altezza del viso | ||
e mantenerlo sollevato per: | 5 secondi | punti 0 |
e mantenerlo sollevato per: | 4 secondi | punti 1 |
e mantenerlo sollevato per: | 3 secondi | punti 2 |
e mantenerlo sollevato per: | 2 secondi | punti 3 |
e mantenerlo sollevato per: | 1 secondi | punti 4 |
non riuscire a compiere l'esercizio | punti 5 | |
incontinenza urinaria occasionale | punti 1 | |
incontinenza urinaria permanente | punti 3 | |
incontinenza fecale occasionale | punti 1 | |
incontinenza fecale permanente | punti 3 | |
QUADRO 4 = AREA DELLA CAPACITÀ COGNITIVA E DEL TONO DELL'UMORE | ||
turbe del sonno | punti 1 | |
diminuzione della memoria | punti 1 | |
occasionale stato confusionale | punti 1 | |
occasionale episodio di allucinazioni e/o di delirio | punti 2 | |
stato permanente di ansia/depressione | ||
(agitazione,sconforto, facilità al pianto) | punti 2 | |
difetto di concentrazione e/o apprendimento | punti 2 | |
QUADRO 5 = AREA SOCIOAMBIENTALE | ||
solitudine | punti 2 | |
scarsi mezzi di sostentamento | punti 3 | |
barriere architettoniche domestiche | punti 3 | |
QUADRO RIASSUNTIVO | MINIMO DI PUNTI | MAX DI PUNTI |
AREA BIOLOGICA | 4 | 26 |
AREA MEDICA | 1 | 7 |
AREA FUNZIONALE | 0 | 12 |
AREA COGNITIVA E DELL'UMORE | 1 | 9 |
La coesistenza di punteggi anche minimi in tutte e 5 le aree esaminate è segno di elevato rischio di compromissione dell'autonomia, come pure la coesistenza di punteggi intermedi in almeno 3 aree o di di punteggi massimi in almeno 2 aree. |
Prof. Filippo Nico
Direttore f.r. Dipartimento Tutela Salute Anziani ASL RMA—Roma
Primario f.r. Day Hospital Geriatrico Ospedale Nuovo Regina Margherita - Roma